COMITATO
Scrittori in prigione
Maria Emilia Arioli
Dal 1960 questo è compito del Writer in Prison Committee (WiPC - Comitato per gli Scrittori in Prigione) che opera su piano mondiale, seguendo annualmente da 700 a 900 casi e mantenendosi completamente neutrale rispetto all’origine politica, religiosa o geografica delle persone interessate.
Tra i suoi mezzi d’azione, vi è l’attivazione della comunità del PEN attraverso una rete d’azione rapida (Rapid Action Network), che identifica i casi, accerta le informazioni al riguardo, e suggerisce le possibilità di intervento.
Il WiPC collabora inoltre con ICORN, la Rete Internazionale delle Città Rifugio - organizzazione strettamente connessa a PEN International - che offre la possibilità di soggiornare all’estero a scrittori in pericolo. (La Svizzera partecipa a questa rete, offendo una casa rifugio a Berna.)
Oltre ad agire a favore dei casi individuali, il WiPC organizza sia campagne in difesa della libertà di stampa e di espressione, tra cui quelle contro la diffamazione religiosa, l’impunità e la diffamazione criminale, sia campagne che mettono in luce problemi di particolari regioni o Paesi.
Presidente
Delegata al WiPC (Comitato per gli scrittori in prigione)
ariolime@pensvizzera.org
Dopo un Master all’università di Zurigo in Slavistica e Germanistica e una tesi in letteratura russa, ha lavorato per cinque anni come giornalista all’ATS a Berna. Successivamente è stata portavoce dell’Ufficio federale dei Rifugiati. Funzionaria federale, è stata in seguito distaccata dal Dipartimento Federale degli Affari Esteri per sei anni in zone di conflitto, prima nei Balcani e poi nel Caucaso, quindi, per tre anni, assegnata come analista politico alla Direzione politica del Consiglio d’Europa a Strasburgo, per il Caucaso, la Bielorussia e l’Ucraina, durante le trattative dell’entrata di questi paesi nell’organizzazione.
Nella ex-Jugoslavia, ha diretto uffici per l’applicazione dei diritti dell’Uomo, con particolare attenzione alle persone appartenenti a minoranze etniche o religiose, raccogliendo testimonianze e, nel limite delle possibilità concrete, operando per la protezione degli individui. Per tutelare anche gli abitanti di parte serba, è stata osservatrice dell’OSCE alle trattative internazionali per il ritorno alla Croazia della Regione autonoma della Slavonia orientale, Baranja e Sirmia.
Responsabile dell’Ufficio per i diritti dell’Uomo della Missione dell’OSCE in Georgia, ha fatto parte dei suoi dossier la riforma del codice di procedura penale, determinata dal passaggio dalla legislazione sovietica ad un nuovo diritto. In tale veste, ha assistito a processi e ha avuto accesso a persone accusate di delitti contro lo stato nei luoghi carcerazione preventiva, allo scopo di registrare la loro presenza e raccoglierne le testimonianze.
Negli stessi anni è stata incaricata del dossier sulla protezione dei “cosiddetti Turchi Meskheti” - che ha continuato a seguire anche per il CdE - e designata persona di contatto delle organizzazioni internazionali per la minoranza e i rifugiati ceceni in Georgia. Ha preso parte a diversi gruppi di lavoro internazionali e inter-governative relativi alle sue aree di competenza.
Entrata nel PEN nel 2014 e delegata al WiPC dal 2015, è stata eletta Presidente del nostro Centro PEN nell’Assemblea generale del 2016, carica rinnovata nel dicembre 2019 per il seguente triennio. Oltre all’italiano, parla correntemente francese, tedesco, russo e inglese.
Il Comitato scrittori in prigione sul web
Burhan Sönmez alla RSI in difesa della libertà d’espressione e su PEN
(versione completa completa dell’intervista di Daniela Fabello)
giornata dello scrittore in prigione 2021
Qui trovate la registrazione della conferenza del neoeletto presidente mondiale di PEN International Burhan Sönmez, tenutasi a Lugano in occasione della Giornata dello scrittore in prigione all'Università della Svizzera italiana. La conferenza è stata organizzata dal Centro pEN della Svizzera italiana e retotomancia e dalla Facoltà di Comunicazione Cultura e Società dell’USI. (USI), il 18 11. 2021.
intervista a Burhan Sönmez del giornale Il Federalista 17.11.2021
“Scrivere è una forma di resistenza, ma la mia Turchia non è perduta”
L'occasione è di quelle da non perdere. In occasione della settimana mondiale dedicata agli scrittori ingiustamente incarcerati, l'USI ospiterà domani alle 18.30 un convegno del Centro PEN della Svizzera italiana con un ospite d'eccezione: Burhan Sönmez, presidente di PEN International. Nato ad Ankara nel 1965, turco di origini curde, avvocato specializzato in diritti umani poi espatriato per motivi politici in Gran Bretagna, è oggi un docente universitario e uno scrittore affermato: i suoi romanzi, che danno voce al dissenso in Turchia, sono stati tradotti in oltre trenta lingue. Il Federalista lo ha intervistato per capire quale sia oggi la missione dell'informazione e della scrittura in Paesi dove la libertà d'espressione viene sistematicamente calpestata.
Partiamo dal presente. Lei ora vive in parte a Cambridge e in parte a Istanbul, una città che ritorna costantemente nei suoi romanzi. Quanto è difficile o quanto è stimolante questo continuo cambiamento di lingua e di ambiente per uno scrittore?
Le difficoltà si vedono soprattutto all'inizio, perché bisogna stabilire nuove relazioni, intessere nuovi legami. Dopo un certo tempo di adattamento si sente che l'ispirazione è la sensazione principale che si prova nel costante cambiamento di lingua e di spazio. Confronti luoghi, volti, suoni, colori, e tutto ti dà nuove immagini. Nulla è più scontato.
PEN International quest’anno ha compiuto 100 anni. Un secolo dedicato alla libertà di stampa e alla difesa di scrittori, poeti, giornalisti, saggisti in pericolo a causa delle loro opinioni. In molti Paesi del mondo oggi questa libertà è sempre più erosa: scrivere è diventato pericoloso. Vale per la Turchia, certo, ma le cose non sono diverse in Cina, in Bielorussia o a Mosca (solo per fare alcuni esempi). La cosa drammatica è che, specie in Europa, la gente è diventata meno sensibile a questi problemi. La libertà è data per scontata, quasi ignorata. Dobbiamo temere che si sparga nel mondo una nuova tentazione totalitaria?
Dobbiamo temerlo ed essere vigili. Di fatto un'ondata globale di autoritarismo si sta diffondendo in tutti i continenti. Non possiamo semplicemente chiudere gli occhi e cercare di non vedere ciò che sta accadendo vicino a noi. È un pianeta che si sta oscurando dal punto di vista politico, sociale e ambientale. Non può essere una coincidenza notare gli stessi approcci politici in ogni continente, e vedere come stanno aumentando rapidamente.
In Turchia i media liberi e indipendenti sono un miraggio e i giornalisti vengono arrestati e imprigionati senza processo. La vita è dura anche per romanzieri, artisti e studiosi, anche per coloro che non toccano necessariamente temi d’attualità politicamente scottanti. Come affrontano la loro vita quotidiana?
Nel mio Paese da ormai molti decenni, già a partire dal XIX secolo, le diverse generazioni e gli scrittori hanno sempre dovuto affrontare il problema della limitazione delle loro libertà. La differenza è che oggi ci troviamo di fronte a una limitazione più diffusa e sistematica. Ma in Turchia, così come esiste una storia dell’oppressione, si è sviluppata nel tempo anche una tradizione di resistenza all’oppressione.
Certo si vive in una situazione difficile, ma si cerca sempre di mantenere uno stile di vita normale, anche se non è più normale come una volta. Il fatto è che scrivendo puoi mantenere viva la memoria e la speranza nella vita quotidiana. È una forma di resistenza. Dimostri così, anche a te stesso, che ci sono innumerevoli capacità e possibilità di sopravvivere, resistere e, appunto, mantenere la speranza.
In Turchia l'imponente Santa Sofia e il Museo di San Salvatore in Chora sono tornati ad essere moschee. Di conseguenza, i bellissimi mosaici sono stati coperti da drappi e non sono più visibili al pubblico. Non solo i turisti stranieri, ma anche i turchi musulmani sono privati di quella grande bellezza. Sembra che l'islam politico abbia sempre più spazio nel suo Paese: quanto crede sia radicato tra la popolazione rispetto alla semplice religiosità e alla fede?
L'islam politico è un'ideologia che si è diffusa nella società turca negli ultimi vent'anni in linea con gli sviluppi regionali. Ha avuto potere nella società per molto tempo, ma oggi trae la sua forza dal fatto che il Governo attuale lo promuove. Senza il sostegno del Governo, l'islam politico perderà inevitabilmente la sua base nella società, perché il suo fallimento e i suoi errori gli hanno messo contro la maggior parte del popolo.
Nel rispetto della religione e della libertà di fede, c'è ancora una possibilità per i partiti moderati e democratici di prevalere?
Il futuro della politica in Turchia sarà basato su programmi laici. Molti partiti sono ora uniti con un programma laico e mirano a fermare il Governo islamista di Erdogan. Possono farlo, come hanno fatto due anni fa alle elezioni locali, quando tutti i partiti di opposizione uniti sono riusciti a sconfiggere i candidati del partito di Erdogan in gran parte della Turchia.
Sembra che il suo Paese oggi abbia un problema nel farsi carico della propria storia. In uno dei suoi ultimi libri, “Labirint”, lei affronta il tema dell'amnesia. Il protagonista può ricordare solo una parte molto recente del suo passato, ha una memoria “a breve termine”. Pensa che anche il popolo turco corra il rischio di un'amnesia collettiva per quanto riguarda la storia e le sue radici?
Sì. Il pericolo è proprio qui ed è reale nella società turca. L'amnesia, infatti, funziona in due modi: uno è dimenticare il passato, l'altro è ricordare il passato in modo distorto. In Turchia l'amnesia politica funziona nel secondo. Ed è drammatico.
In un mondo che consuma rapidamente un surplus di informazioni, siamo tutti a rischio di amnesia collettiva?
Il risultato di troppe informazioni è troppa poca conoscenza. Sentiamo e vediamo miliardi di cose ma ne capiamo ben poco. Le informazioni più recenti cancellano quelle passate. Chi ci guadagna? Non il popolo, questo è certo. I grandi gruppi economici, i poteri politici etc. sono felici di questa nuova realtà del mondo, mentre la maggior parte della gente comune si perde nella ricerca della verità e rischia di perdere il proprio futuro.
I Paesi occidentali hanno forti legami strategici e commerciali con la Turchia, sebbene le sistematiche violazioni di Ankara siano in netto contrasto non solo con i valori democratici, ma anche con i valori che la Turchia stessa si è impegnata a difendere in quanto membro del Consiglio d'Europa. Davvero l'Europa può continuare a fingere di non vedere?
La situazione è complessa. Ovunque, anche in Europa, vi è un problema di anti-democrazia e si sentono voci che la sostengono. Le politiche anti-immigrazione, l'innalzamento dei muri, il calo dei salari non sono fenomeni che accadono solo in Polonia o in Ungheria: si stanno diffondendo ovunque. Gli Stati europei dovrebbero tornare a promuovere i principi democratici nelle relazioni internazionali e invitare Paesi come la Turchia a rispettare questi principi. Occorrerebbe mettere il rispetto dei valori fondamentali come condizione per qualsiasi altro rapporto. Ma è una scelta difficile.
Per quanto invece riguarda l’integrazione nell’Unione Europea, nonostante le apparenze e visto lo stato delle cose, sembra che entrambe le parti siano in fondo felici di questa situazione e stiano solo un po’ giocando. Non vogliono che la Turchia ne faccia parte, così come il Governo turco non vuole farne parte. Non c'è nessun programma serio o reale volontà da entrambe le parti. In questo momento nessuna delle due parti ha interesse a che ciò avvenga.
In che modo gli scrittori e i giornalisti europei possono essere d’aiuto?
In primo luogo, dovrebbero fare pressione sui loro Governi e impedire loro di aiutare i regimi antidemocratici. E dovrebbero farlo ora che hanno colleghi che sono in pericolo in altre parti del mondo. In regioni più lontane, in altri continenti, sta succedendo adesso quello che è successo a tanti scrittori e giornalisti europei a metà del secolo scorso. Il tempo e lo spazio cambiano, ma il problema è ancora vivo, quindi anche la solidarietà dovrebbe essere viva. Quando celebriamo con PEN International la “Giornata dello scrittore in prigione” non è un atto formale. Dovrebbe servire a mantenere deste le coscienze, a spingere all’azione. Quando una nostra campagna ha successo, quando qualcuno viene liberato, non pensiamo che sia solo merito nostro. Sappiamo che è il risultato di molti fattori: l’intervento di organizzazioni conosciute, certo, ma anche la pressione pubblica, l’opportunità politica, contingenze leggermente mutate. Sappiamo però che se le organizzazioni come la nostra non agissero, mancherebbe un tassello fondamentale per il risveglio delle coscienze. Lo stesso quando riusciamo a dare riparo in un luogo protetto a scrittori o giornalisti in pericolo: nessuno tra noi pensa di salvare il mondo, ma di fare tutto quanto è in suo potere per cambiare le cose in meglio. Passo dopo passo.
senza libertà, mai senza voce
Convegno internazionale annuale del "Comitato per gli Scrittori in prigione" 20 - 21 - 22 maggio 2021
Il convegno si è tenuto via zoom, per motivi sanitari.
Vi trasmetto prima di tutto il link per la nuova lista di scrittori e giornalisti attualmente in grave pericolo che sono ricorsi a PEN International. In un secondo tempo informazioni e commenti sulla situazione attuale e alcuni brevi cenni in italiano su alcuni casi particolari.
LISTA SCRITTORI IN PERICOLO 2020
https://pen-international.org/app/uploads/PEN-Case-List-2020-v4-1UP-MedRes.pdf
Conferenza della “Giornata dello scrittore in prigione 2020”
“GIORNALISMO D’INCHIESTA: IMPEGNO, RESPONSABILITÀ E RISCHI PROFESSIONALI, SULL’ESEMPIO DEL CASO MALTA. “
Relatore: NELLO SCAVO, giornalista e inviato speciale del quotidiano Avvenire
cliccare qui sotto per il video della conferenza:
Day Of The Writer In Prison 2020
Anche quest’anno, nonostante l’epidemia di Covid 19 non consenta la partecipazione del pubblico in sala, il nostro centro ha organizzato la “Giornata dello Scrittore in Prigione” di PEN International. Si tratta dunque di una registrazione del 16 novembre 2020, avvenuta a porte chiuse a Lugano, nell’aula magna che l’Università della Svizzera Italiana 8USI) ci ha messo gentilmente a disposizione. Da oltre quattro anni, collaboriamo strettamente con l’USI nell’organizzazione di queste giornate e non intendevamo rinunciare alla tradizione. Per la prima volta, inoltre, si è unita a noi anche la sezione svizzera di “Journalistes sans Frontières”.
Siamo lieti e onorati di presentarvi un incontro con l’inviato speciale del quotidiano italiano Avvenire, giornalista e scrittore Nello Scavo. Reporter internazionale, cronista giudiziario, corrispondente di guerra, collabora con diverse testate estere. Le sue inchieste sono state rilanciate dalle principali testate del mondo, fra cui The New York Times, The Washington Post, The Independent, The Guardian, Le Monde, Huffington Post, La Croix, BBC, CNN, Clarin, La Nacion, El Pais, El Mundo e altri. Negli anni, ha indagato sulla criminalità organizzata e il terrorismo globale, firmando servizi da molte zone «calde» del mondo come la ex-Jugoslavia, la Cambogia e il Sudest asiatico, i paesi dell’ex Urss, l'America Latina, le frontiere più ostili in Turchia, Siria, la Rotta Balcanica, il Corno d'Africa e il Maghreb.
Il nostro Centro PEN ha deciso di dedicare la giornata 2020 a Nello Scavo per il il grande interesse destato dai suoi articoli e dai suoi libri, per i quali ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali. Purtroppo, proprio il suo modo estremamente serio, preparato e coraggioso di procedere nelle inchieste gli ha causato minacce concrete da parte di gruppi libici e maltesi che sono in stretta relazione con gruppi di stampo mafioso italiani e balcanici. Da molti mesi, vive con la famiglia sotto scorta della polizia italiana. La sezione di protezione di PEN International lo ha messo ora al primo posto della lista dei giornalisti in pericolo in Europa.
Il suo nome, insieme a quello di Akhmet Altan e di Osman Kavala saranno proposti alla prossima assemblea affiché siano eletti membri onorari del nostro Centro.
E ora fate la sua conoscenza!
Senza libertà - mai senza voce
Senza libertà, ma non senza voce
Cari, soci e cari amici, pur in questi mesi di tempo sospeso, dove ogni progetto e iniziativa sono regolarmente disattesi a causa della situazione sanitaria, il nostro Centro PEN vuole ugualmente ricordare pubblicamente gli scrittori, i giornalisti, i saggisti e tutti i promotori culturali detenuti a causa di delitti d’opinione e per avere avuto il coraggio di difendere la dignità umana. Non si potranno organizzare conferenze in presenza di pubblico e per molti sarebbe impossibile o imprudente parteciparvi. A maggior ragione, tuttavia, in questi mesi di mobilità ridotta possiamo sentirci ancor più solidali con chi, innocente, è stato privato di qualsiasi libertà per avere avuto il coraggio di difendere la nostra. Alcuni di loro hanno perso la vita. Ad altri si prospetta una detenzione quasi illimitata. Altri affrontano processi infiniti e kafkiani. E infine altri -apparentemente ancora liberi - rischiano di non tornare a casa. Dietro a queste persone ci sono famiglie e affetti. Esprimiamo anche a loro la nostra empatia e, se possibile, il nostro effettivo sostegno.
La pandemia esaspera ulteriormente la condizione di chi scrive in quei paesi in cui manca libertà di stampa e di espressione, mentre, laddove essa esiste, le preoccupazioni della gente e l’attenzione dei media sono rivolte a pericoli più prossimi e concreti. Alcuni regimi, coscienti della minore cassa di risonanza dei loro atti, prendono misure sempre più restrittive e costrittive, sfruttando la situazione per mettere a tacere qualsiasi voce dissenziente.
Il nostro centro PEN continua a tenere i contatti con centri di diversi paesi e ovviamente manteniamo un rapporto speciale con PEN Turchia, con cui siamo legati da anni di amicizia e collaborazione. Vi terremo aggiornati su questo sito che ci permetterà, in attesa di rivederci, di essere insieme anche quest’inverno. Nel corso della prossima settimana, inoltre, troverete qui anche il link della CONFERENZA ANNUALE PER LE GIORNATE DELLO SCRITTORE IN PRIGIONE 2020. La conferenza è pre-registrata in collaborazione con USI Lugano, come ormai da tradizione. Quest’anno è dedicata alla situazione della libertà di stampa a Malta e nel Mediterraneo, insieme ad un importante giornalista e saggista italiano.
Lista scrittori in pericolo 2019
https://pen-international.org/app/uploads/Case-List-2019-Web-2UP-WPFD.pdf Elenco aggiornato 2019 degli scrittori, giornalisti, saggisti e promotori intellettuali registrati da PEN International perché in pericolo o detenuti.
Giornata dello scrittore in prigione 2020
Nella GIORNATA DELLO SCRITTORE IN PRIGIONE 2020 i nostri amici e colleghi di PEN Turchia ci chiedono espressamente di ricordare o fare conoscere al pubblico tramite il web, i media, messaggi twitter la situazione dell’editore e difensore della libertà di stampa OSMAN KAVALA, che subirà tra breve un processo, e dello scrittore e giornalista AKHMET ALTAN, condannato a 5 anni con l’accusa pretestuosa di propaganda del terrorismo cui sono stati aggiunti 10 anni per l’accusa di “offese al Presidente della Repubblica”. Entrambi sono detenuti nel carcere di massima sicurezza di Silivri, nei sobborghi di Istambul.
Osman Kavala
Giornata dello scrittore in prigione: Osman Kavala
Editore, filantropo, contro l’uso della violenza, difensore dei diritti civili e culturali e della democrazia in Turchia, Osman Kavala si trova in detenzione preventiva dal 18 ottobre 2017, nella prigione di massima sicurezza di Silivri, nei dintorni di Istanbul. Accusato di essere responsabile di crimini commessi nel 2013 da alcuni manifestanti in varie parti del Paese, è stato pienamente assolto il 18 febbraio 2020, per essere poi riarrestato alcune ore dopo, perché era stata aperta una nuova inchiesta contro di lui e ricondotto immediatamente a Silivri. Il 20 seguente gli è stata finalmente comunicata la nuova accusa: “minaccia all’ordina costituzionale”, un’accusa che prevede la prigione a vita, cui sono stati aggiunti altri 20 anni di carcere per “spionaggio”. Rimane quindi in detenzione preventiva nel carcere di Silivri. PEN International considera tali accuse totalmente prive di fondamento e dirette unicamente a bloccare la sua attività a favore della libertà di stampa e di espressione.
Lo scrittore Akhmet Altan detenuto da 1500 giorni
Critico verso il suo governo, il settantenne scrittore e giornalista turco Akhmet Altan è stato arrestato una prima volta il 12 settembre 2016 con l’accusa tanto pretestuosa quanto bizzarra di “inviare messaggi subliminari che evocavano il colpo di stato del 15 luglio 2016”. Dopo 12 giorni di detenzione preventiva, è accusato formalmente di “appartenenza ad una organizzazione terroristica e tentativo di rovesciare il governo” e rinchiuso in attesa di processo nel carcere di massima sicurezza di Silivri, un sobborgo di Istanbul. Tali accuse comportano la detenzione a vita. Nei quattro anni seguenti, la prima accusa, poi le altre, si dimostrano inconsistenti e la corte di cassazione ordina il suo rilascio immediato. È una libertà di ben breve durata. Nemmeno una settimana dopo è arrestato nuovamente, questa volta con l’accusa meno grave di “aiutare e supportare un’organizzazione terroristica, senza per altro farne parte”. La 26ma Alta Corte Penale di Istanbul lo condanna però ad una pena di ben 10 anni e sei mesi di prigione, ma ordina che possa restare a piede libero fino al termine del ricorso in appello. Anche questa speranza però è disattesa. Il ministero pubblico, infatti, si oppone al suo rilascio. Per oltre un anno questa seconda sentenza è stata in attesa del giudizio della Corte di Cassazione. Presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) di Strasburgo quattro anni or sono, il suo caso non è ancora stato preso in considerazione. Altan non ha mai commesso altro reato che quello di scrivere e pubblicare. Durante la detenzione è riuscito a far passare alla stampa un suo ultimo libro, NON RIVEDRÒ PIÙ IL MONDO (Solferino editore). Il suo nome si aggiunge a 73 altri giornalisti ufficialmente imprigionati in Turchia perché critici verso il governo. PEN Turchia ritiene che il loro numero sia salito a 100.
Ahmet Altan
Oggi lo scrittore e giornalista turco Akhmet Altan è in prigione a Silivri da 1500 giorni!